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Giovedì, 02 Gennaio 2025
Un tranquillo week end di paure
Riparte il campionato, ci sono le elezioni: per un appassionato di calcio e politica (in ordine alfabetico) è un fine settimana ad alta tensione. Lunedì sera oltre che per il risultato di Milan-Bologna il cuore batterà per le partite in Toscana, Marche e Puglia, dando per scontata la vittoria in casa campana e le sconfitte in trasferta ligure e veneta. Non temo scossoni con ricadute sul governo, ma la riapertura di pericolose manovre interne al PD, quello sì. Ci manca solo di rimetterci a discutere della leadership interna in un frangente decisivo per la ripartenza del Paese: finiremmo per assecondare le intenzioni di chi vuole liberarsi definitivamente di questo partito.
A complicare ulteriormente le cose poi ci si mette pure il referendum.
Meno lacerante, per me, rispetto al 2016 ma comunque fortemente divisivo anche all’interno di culture politiche comuni.
Come quasi sempre accade in queste occasioni le valutazioni sul merito del quesito si accompagnano a considerazioni sulle motivazioni sostenute dai promotori nonchè a riflessioni sulle possibili conseguenze politiche del voto.
Partiamo da queste ultime: mi pare indiscutibile che la vittoria del No sarebbe un colpo molto forte per questa maggioranza di governo i cui principali partiti si sono esplicitamente espressi per il Sì. Lo hanno ben capito molti leader del centro destra che stanno non a caso alimentando quel “No insincero” che stigmatizza Pierluigi Bersani, insieme ad un altro fronte di opposizione guidato da Repubblica e L’Espresso. Per i primi il No serve per sciogliere il Parlamento, per i secondi a sostituire Conte con un profilo tecnico cui affidare la cornucopia del Recovery Fund. Comunque sia, per sostenere l’attuale maggioranza è utile un Sì.
Veniamo alle motivazioni: per i 5 stelle si tratta di tagliare le poltrone, per i sostenitori del NO di difendere la centralità delle Istituzioni. Messa così non c’è ovviamente discussione: ascoltare Di Maio induce a riempire di No le urne. Tuttavia, siamo proprio sicuri che bocciare una legge votata dal 90% del Parlamento sia il modo migliore per affermarne l’autorevolezza?
Infine (ma dovrebbe essere in primis) il merito. Meglio 1000 o 600 parlamentari? I ragionamenti vertono sull’efficienza e sulla rappresentanza (escludo il risibile tema del risparmio). Entrambi questi scopi però non dipendono (principalmente) dal numero. Si dovrebbe lavorare meglio in assemblee meno elefantiache, ma in realtà il vero efficientamento dipende di più dai regolamenti d’aula e dal superamento del bicameralismo paritario. Ricordo peraltro che un taglio consistente è stato fatto, nel silenzio generale, alle assemblee elettive comunali. Quando (ahimè quarant’anni fa) entrai per la prima volta nel consiglio comunale di Vimercate i consiglieri erano 30, oggi sono 16. Quanto alla rappresentanza anch’essa dipende più da come saranno riorganizzati i collegi e dalle modalità di selezione dei partiti. Che sia una riforma monca è quindi del tutto evidente: si tratta di scegliere se si ritiene preferibile fare un primo passo nella convinzione che esso agevoli e renda necessari i successivi ovvero tenere tutto fermo in attesa di una nuova futuribile occasione.
Mettendo un po' in ordine queste riflessioni alla fine, pur senza grande entusiasmo, ho maturato la decisione di seguire l’indicazione del mio partito e votare Sì. Col massimo rispetto per i sostenitori sinceri del No.
Buon voto (e buon campionato) a tutti.
Enrico Brambilla
www.enricobrambilla.it
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